QUALE FUTURO PER L'AFGHANISTAN ?

Auteur: 
Gen. B. Giorgio SPAGNOL - Forces Readiness Director SHAPE - NATO
Date de publication: 
11/4/2013

PREMESSA

Il limitato successo di ISAF, sino alla svolta impressa dal Generale Petraeus nel 2010 con l'introduzione della nuova dottrina controinsurrezionale (mutuata, peraltro, dalle direttive impartite nel 1982 dal Generale Angioni al contingente italiano in Libano), è da imputarsi essenzialmente alla carenza di conoscenza del contesto storico, culturale, politico, sociale ed economico dell'Afghanistan.

Se a ciò si aggiunge la presunzione e l'arroganza nell'ignorare l'esperienza, le capacità e i “desiderata” locali identificando e perseguendo, invece, obiettivi che probabilmente rispecchiavano standard e criteri occidentali ma che mal si attagliavano alle esigenze e realtà locali, è anche facile comprendere come la popolazione afgana, dopo una favorevole accoglienza iniziale delle “forze di liberazione”, assistesse perplessa, scettica e talvolta ostile alla realizzazione di progetti ritenuti, nella migliore delle ipotesi, di scarsa utilità.

I semi di speranza, di prosperità, di libertà e di pace che erano stati sparsi sul suolo afgano nel 2001, a seguito della disfatta dei Talebani, stentavano a germogliare.

Il continuo mutare di strategie, il totale e cieco affidamento su tecnologia e progresso, l'incapacità di stabilire e mantenere il dialogo, l'ossessione della sicurezza (che manteneva ISAF isolata dalla società afgana), la burocrazia fine a se stessa, il mantra di un “nation building” di difficile comprensione per l'afgano medio creavano un netto distacco tra popolazione locale e prestatori d'opera esterni.

Si era volutamente ignorato come il supporto esterno possa risultare utile nel creare , ad esempio, un sistema bancario o un sistema monetario: ma le istituzioni locali sono sicuramente più efficaci e durature del fumoso “nation building”.

Ciò che ha caratterizzato la condotta delle operazioni in Afghanistan, sino all'arrivo di Petraeus, si può quindi riassumere in: assenza di umiltà, eccesso di ottimismo, mancanza di obiettivi chiari e perseguibili.

LEZIONI APPRESE

Si sarebbe, invece, dovuto far tesoro delle lezioni apprese (“Lessons Learned” - LL) nel passato. Come sosteneva nel 1917 Lawrence d'Arabia (Ufficiale di Sua Maestà Britannica): “E' necessario usare prudenza con gli arabi, evitando di eccedere nel nostro operato. E' preferibile che siano gli arabi a conseguire risultati accettabili piuttosto che noi stessi a operare in modo perfetto. Noi siamo qui per aiutarli, ma è la loro guerra e spetta a loro vincerla.”

E Lawrence riuscì perfettamente a immedesimarsi e “fondersi” nel popolo arabo vestendo come loro, parlandone la lingua e vivendo al loro fianco durante la campagna contro l' impero ottomano.

Tale LL è sicuramente applicabile in qualsivoglia contesto nazionale: responsabilizzare le autorità autoctone non solo riduce la durata della missione e favorisce l'adozione di soluzioni idonee a soddisfare le esigenze locali, ma evita anche la creazione della deleteria “cultura di dipendenza” per cui ogni decisione e azione diviene prerogativa degli “operatori esterni”, ponendo in un pericoloso stato di abulia e di apatia le autorità locali che ben difficilmente, al termine dell'intervento esterno, sapranno governare e gestire il proprio Paese.

 

IL MODELLO ITALIANO

Va evidenziato, a tale riguardo, come il modello italiano di intervento, che ha riscosso consenso e successo in Libano nel 1982, sia stato poi adottato dall'Italia in tutti i teatri operativi (tra cui l'Afghanistan) in cui hanno operato i propri contingenti. Il modello italiano è fondamentalmente basato su principi di comunicazione interculturale: ascoltare, comprendere e comunicare rappresentano fasi diverse del processo umano di interazione con la popolazione locale, con il fine di identificarne, valutarne e soddisfarne i bisogni con modalità concordate congiuntamente.

E gli italiani si impegnano costantemente nel creare e mantenere contatti umani con i locali, mettendo anche a repentaglio la propria incolumità: l'approccio italiano è infatti contraddistinto dall'afflato umano che permea la relazione tra assistente e assistito, ponendoli a livello paritetico e stabilendo un contatto ininterrotto e interattivo tramite il superamento di barriere linguistiche, culturali e comportamentali.

Le linee guida che caratterizzano il modello italiano sono improntate al reciproco rispetto e al consenso. Numerose lezioni apprese (LL) concordano sul fatto che il successo di un intervento dipende in misura consistente dalla accurata e oculata pianificazione delle attività post-conflittuali, vincendo il cuore e la mente (winning hearts and minds) dei locali, guadagnandone la stima e la fiducia e aiutandoli a ricreare condizioni di vita adeguate. Ed è quanto gli italiani hanno fatto e stanno realizzando con successo nella Regione Ovest (con capoluogo Herat) dell'Afghanistan.

 

PUNTO DI SITUAZIONE

Proviamo ad analizzare i risultati sinora conseguiti dalla comunità internazionale, soprattutto in vista della “chiusura” di ISAF, prevista per dicembre 2014.

Un riscontro critico proviene dall' International Crisis Group (ICG) il cui Rapporto di ottobre 2012 evidenzia come le elezioni presidenziali nell'aprile 2014 e il trasferimento dei poteri dal Presidente Karzai al suo successore costituiscano una sfida nelle attuali condizioni di carenza di chiarezza burocratica, linearità istituzionale e correttezza politica.

La possibilità di frodi elettorali, in particolare nelle Regioni in cui le condizioni di sicurezza risultano tuttora precarie (Est e Sud dell'Afghanistan) mettono a repentaglio la credibilità del processo elettorale, anche in considerazione della scarsa autorevolezza e voce in capitolo sia dell' Indipendent Election Commission (IEC) sia dell' Electoral Complaints Commission (ECC), organismi deputati il primo a predisporre il corretto svolgimento delle elezioni, il secondo a intervenire in presenza di frodi e di reclami. Inoltre, sia le ambiguità sui ruoli rispettivi della Corte Suprema e della Indipendent Commission for the Supervision of the Implementation of the Constitution (ICSIC) sia la rivalità costituzionale esistente tra le due entità devono essere affrontate e risolte entro la primavera del 2013.

Se non si pone rimedio a questa situazione di incertezza costituzionale e istituzionale, il rischio che Karzai (nonostante il Presidente abbia dichiarato che non intende ricandidarsi ) possa favorire l'elezione di un candidato-fantoccio di sua scelta restando egli stesso, di fatto, l'ago della bilancia politico-istituzionale del Paese, metterebbe a repentaglio non solo la credibilità del processo elettorale e delle prospettive future del Paese ma anche l'immagine stessa dell'Afghanistan nel contesto internazionale. Le elezioni, sostiene l'ICG, devono pertanto essere utilizzate quale opportunità di rompere con il passato e favorire la riconciliazione nazionale. La Comunità Internazionale, gli Stati Uniti, l'Unione Europea e ISAF devono quindi sostenere il processo elettorale e fungere da pungolo al governo afgano perché questi attui le riforme necessarie a conferire potere e autorità a IEC e ECC, dirimendo le controversie tra Corte Suprema e ICSIC.

Vanno comunque considerati, quali fattori di successo, i progressi attinenti : la promozione e il rispetto dei diritti umani, i diritti delle donne, la libertà di espressione, l' istruzione (particolarmente quella femminile). Vanno inoltre evidenziati sia la tenuta di due successive elezioni presidenziali e parlamentari sia il miglioramento, in generale, dei servizi pubblici e delle infrastrutture.

Un elemento di interesse, in siffatto contesto, è che la nuova costituzione garantisce i diritti umani e la libertà in termini generici: ma tali diritti costituzionali vanno implementati tramite decreti attuativi e con il sostegno del sistema giudiziario, sistema giudiziario che risulta ancora fragile e privo di adeguata indipendenza e autorevolezza. A risentire di siffatta situazione saranno in particolare le donne che sebbene siano presenti in Parlamento e in altri fori istituzionali e decisionali devono tuttora confrontarsi, in un Afghanistan non ancora del tutto pacificato e sicuro, con violenza domestica, visione patriarcale della società e povertà. Anche in tale settore è quindi necessario il risoluto intervento, presso il governo afgano, della comunità internazionale.

 

LE FORZE DI SICUREZZA AFGANE

Una nota sicuramente positiva è rappresentata dalla sicurezza, destinata a crescere e migliorare con l'addestramento e il potenziamento delle forze di sicurezza afgane (Afghanistan National Security Forces – ANSF) che hanno già iniziato a pianificare e condurre autonomamente operazioni in cui ISAF si limita a svolgere un ruolo di supporto, invertendo così la prassi consolidata che prevedeva, sino allo scorso anno, ISAF totalmente responsabile di ogni operazione mentre le ANSF si limitavano a fornire supporto.

ISAF sta, quindi, via via riducendo la sua consistenza e il suo impegno operativo svolgendo essenzialmente funzioni di sostegno, addestramento, supervisione e monitoraggio delle ANSF.

Attualmente le ANSF (che constano di 352.000 effettivi ripartiti tra esercito, aviazione e polizia) garantiscono la sicurezza del territorio dove vive il 75% della popolazione afghana: nel primo semestre del 2012 esse hanno condotto autonomamente l'80% di tutte le operazioni e stanno attualmente conducendo l'85% dell'addestramento.

In Kabul, Herat e Mazar-e-Sharif la situazione di sicurezza è notevolmente migliorata e le ANSF, pienamente operative, rispondono con efficacia agli attacchi delle forze opposte.

A dimostrazione dell'affidabilità delle ANSF, esse hanno recentemente assunto la direzione e la piena responsabilità sia della Advanced Infantry Training School sia della National Army Officer Academy.

Per quanto ha tratto con le Forze Speciali Afgane va evidenziato come le stesse, impegnate in operazioni sensibili, si siano dimostrate professionali, determinate e capaci.

 

IL CONTESTO REGIONALE

Un elemento da cui non si potrà prescindere è l'atteggiamento futuro delle potenze regionali allo scadere, nel dicembre 2014, dell'attuale mandato di ISAF, con il termine di una “robusta” missione di combattimento e l'avvio di una nuova missione, di consistenza numerica contenuta, destinata a addestrare e monitorare le forze di sicurezza afgane.

Il ruolo che verrà giocato dai paesi limitrofi determinerà infatti il successo o meno degli sforzi sostenuti sinora dalla comunità internazionale e da ISAF per risollevare l'Afghanistan da 30 anni di guerre e distruzioni. Il Pakistan, in particolare, dovrà decidere se accettare ai propri confini un Afghanistan politicamente indipendente e militarmente autonomo o se continuerà a considerarlo quale suo “backyard” e “conditio sine qua non” per ovviare alla lamentata carenza di profondità strategica nell'evento di un confronto nucleare con l'India.

E' quindi evidente l'interesse della comunità internazionale a sostenere politicamente e economicamente il Pakistan favorendone lo sviluppo democratico e evitando che il Paese, divenendo succube di forme di estremismo politico/religioso (il movimento talebano “in primis”), possa implodere e fungere da detonatore per l'intero subcontinente sud-asiatico.

 

IL RUOLO DELLA COMUNITA INTERNAZIONALE

E' quindi necessario che la comunità internazionale mantenga l'impegno, sottoscritto nelle varie “donors conferences”, di continuare a supportare l' Afghanistan dopo il ritiro delle forze NATO nel 2014, avviando la “post-2014 training mission” su invito del governo afgano e, magari, a seguito di un Mandato delle Nazioni Unite (Mandato auspicabile ma non indispensabile).

Ciò che va assolutamente ricercato è il ripristino della democrazia, della legalità e di condizioni economico-sociali tali da consentire all'Afghanistan di poter finalmente guardare al suo futuro con fiducia e serenità.

Ciò che va assolutamente evitato è il rischio che il Paese piombi nuovamente nell'anarchia divenendo un porto sicuro (“safe haven”) per terrorismo, estremismo e traffico di droga con conseguenze tragiche per l'intero globo terracqueo; la comunità internazionale ha quindi l'interesse ad assicurare all'Afghanistan il sostegno necessario evitando così di vanificare le ingenti risorse (umane e finanziarie) sinora investite nel progetto di recupero del Paese.