1. E’ ormai assodato che nessuna delle organizzazioni internazionali, multinazionali o regionali esistenti, come del resto nessuna nazione, agendo unilateralmente, sarà in grado di fronteggiare le sfide di un futuro imprevedibile e denso di fosche tinte.
A seguito della proliferazione di nuovi centri di potere a livello sub-statuale, della natura ideologica delle dispute internazionali e del ricorso indiscriminato alla violenza, il mondo è divenuto più disordinato, ingiusto e turbolento.
Il sistema di valori su cui si fonda la civiltà occidentale rimane a fatica a galla: ma quale sarà il suo futuro in un mondo sempre più globalizzato e confrontato quotidianamente con terrorismo, crimine organizzato, proliferazione nucleare, emigrazione, crescita demografica e inquinamento ambientale?
I governi nazionali stanno, di fatto, rapidamente perdendo il controllo degli eventi. Le strutture internazionali esistenti sono incapaci o troppo lente ad adeguarsi all’evolversi della situazione globale in un mondo peraltro dominato dal capitale privato, con Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale ridotti a giocare un ruolo sempre meno incisivo e più limitato.
Sarebbe comunque un errore assistere inerti al progressivo deterioramento della situazione globale, rinunciando ad un intervento volto a ripristinare un ordine mondiale fondato su democrazia, giustizia e rispetto dei diritti umani.
Appare pertanto necessario poter contare su organizzazioni internazionali che dispongano o siano in grado di accedere, tramite accordi di cooperazione tra di loro o con soggetti terzi, a strumenti politici in grado di gestire e normalizzare la situazione internazionale, evitando che fenomeni quali l’estremismo politico e il nazionalismo ridivengano lo spauracchio del mondo occidentale in particolare e del globo terracqueo in generale.
2. Su cosa puntare, dunque? Su una architettura politica globale drasticamente reinventata o, più realisticamente, riformulata in modo tale da mantenerne quegli elementi validi e indispensabili su cui imperniare il processo di potenziamento e ottimizzazione volto a garantire la capacità sia di fronteggiare con reattività eventi inattesi, sia di prevenire l’emergere di nuovi scenari di crisi?
Esistono, di fatto, esempi di efficienza e affidabilità, tra cui svetta l’Articolo 5 della NATO, in materia di obblighi di difesa collettiva . Forse meno noto, ma non per questo di minor rilevanza, è l’Articolo V del Trattato di Bruxelles, risalente al 1948, in forza del quale i membri dell’ Unione Europea Occidentale (UEO) si impegnavano a fornirsi, in caso di aggressione da parte di terzi, sostegno militare reciproco “collettivo e automatico”.
Abbiamo testé tirato in ballo NATO e UEO (le cui prerogative militari sono state ereditate dall’UE) e, una volta constatato che sarebbe controproducente procedere alla soppressione sia dell’Alleanza Atlantica sia dell’Unione Europea (che, nonostante le loro pecche e incompletezze, hanno egregiamente svolto il rispettivo ruolo), va comunque precisato che si ravvisano due esigenze inderogabili:
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la cooperazione non solo teorica ma, soprattutto, pratica tra NATO e UE;
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il riconoscere, sia pure “obtorto collo”, che gli Stati Uniti sono e resteranno l’alleato politicamente più importante, pragmaticamente indispensabile e culturalmente più prossimo all’Europa.
In sintesi, va individuata una sfera di interessi comuni e di responsabilità condivise che coinvolga e vincoli il mondo occidentale nel far fronte comune contro le incognite del futuro: tutto ciò senza comunque dar vita a iniziative rivolte contro chicchessia ma, al contrario, aperte a tutti coloro che condividono i valori occidentali di democrazia, giustizia e rispetto dei diritti umani.
3. Procediamo ora ad una disamina sommaria delle peculiarità delle principali organizzazioni internazionali e dei possibili interventi tesi a ottimizzarne il rendimento.
L’ ONU è l’unica organizzazione universalmente riconosciuta in grado di legittimare, legalizzare e autorizzare il ricorso all’uso della forza; l’ONU ha, peraltro, riscosso successo nel settore delle Post Conflict Operations (PCO). L’inconveniente in ambo i casi è rappresentato dalla necessità di addivenire ad una risoluzione votata in tempi brevi e all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza (CS), il che si verifica raramente. Un ulteriore inconveniente è costituito dalla possibilità per le nazioni non partecipanti a una operazione di esprimere il loro parere sulla condotta della operazione in parola creando, spesso, turbative al regolare avvio e alla successiva gestione dell’intervento.
I possibili correttivi individuati sono:
- qualora si identifichi un’esigenza di vasta portata umanitaria e non si pervenga in tempi serrati a una risoluzione del CS, l’uso della forza dovrebbe essere autorizzato a posteriori, una volta avviata l’operazione;
- le decisioni sulle modalità di condotta di un’operazione dovrebbero limitarsi all’ambito delle nazioni che vi contribuiscono;
- il CS dovrebbe designare una organizzazione o una nazione alla guida delle organizzazioni subordinate delle NU, quali UNHCR, IAEA, FAO e altre, che operano nel Teatro Operativo in questione;
- allo scopo di ridurre le frizioni/rivalità e aumentare l’efficienza della cooperazione, si potrebbe addivenire ad uno scambio di nuclei di collegamento tra le NU e altre organizzazioni internazionali quali: NATO, Unione Africana, UE, ASEAN, OSCE.
L’OSCE rappresenta, dopo l’ONU, la più vasta organizzazione internazionale, estendendosi da Vancouver a Vladivostok, contando 56 stati membri e annoverando tutti i paesi della NATO e dell’UE, nonché la Russia e altri paesi che non appertengono a NATO e UE. L’OSCE è strumentale nel poter prevenire conflitti sul nascere: il suo ruolo di mediatore potrebbe comunque essere rinforzato tramite migliorie nei meccanismi decisionali e potenziandone la possibilità di applicare sanzioni.
Un ulteriore ruolo importante dell’OSCE consiste negli interventi PCO, in particolare di stabilizzazione e ricostruzione. In siffatto contesto, l’OSCE potrebbe giocare un ruolo importante fungendo da coordinatore per quelle ONG che si dimostrino riluttanti a cooperare con potenziali elementi “hard power”.
In sintesi, prevedendo la possibilità per NATO e UE di partecipare alle riunioni periodiche dell’OSCE e di aggiornare la situazione internazionale tramite appositi briefing delle 3 organizzazioni internazionali, non solo si incrementerebbero le potenzialità dell’OSCE di fungere da sistema early-warning nella propria area di responsabilità, ma si potrebbe migliorare sensibilmente la cooperazione tra l’OSCE e altre organizzazioni internazionali impegnate in operazioni di stabilizzazione.
La NATO è la sola organizzazione che vincoli Stati Uniti e Europa alla difesa reciproca collettiva. Nonostante le recenti trasformazioni e semplificazioni in campo militare, la NATO può tuttavia ancora considerarsi, in virtù della sua pesante struttura politica, un prodotto della guerra fredda.
Il primo intervento di snellimento potrebbe interessare il processo decisionale: mentre a livello di Comitato Militare le decisioni vanno prese all’unanimità, tale consenso plebiscitario potrebbe essere abbandonato ai livelli inferiori (comitato e gruppo di lavoro) introducendo il voto di maggioranza. Inoltre, analogamente a quanto proposto per l’ ONU, le nazioni che non partecipano a un’operazione non dovrebbero aver voce in capitolo nella condotta di detta operazione, anche in considerazione del fatto che il sistema di ripartizione delle spese (NATO cost-sharing system) prevede che “costs lie where they fall” : ciò significa che i partecipanti a un’operazione oltre a sostenerne l’onere finanziario, accettano il rischio di perdere vite umane, mentre coloro che “chiacchierano” risultano in tal modo doppiamente retribuiti. Si ravvisa, quindi, l’opportunità di modificare le procedure di finanziamento in ambito NATO, mediante la creazione di una formula di ripartizione comune dei costi.
Un ulteriore intervento potrebbe riguardare la strategia della comunicazione, che va costantemente potenziata e affinata: non si può correre il rischio di perdere il consenso popolare in patria anche se le nostre forze risultano vincenti nei teatri operativi di impiego . Vanno pertanto veicolati messaggi calibrati, incisivi e tempestivi che raggiungano il bersaglio (“hearts and minds” della popolazione civile sia in patria sia nel teatro operativo) anticipando comunicazioni in senso opposto da parte delle forze avverse (Taliban, Al-Qaida, ecc.). In siffatto contesto va ribadito che il ricorso alla forza militare non rappresenta il solo (o l’inevitabile) mezzo per risolvere le crisi. In molti casi tale approccio risulta, anzi, controproducente per il conseguimento dei fini strategici. I mezzi non militari devono quindi far parte di una strategia integrata e utilizzati con cura, tempestività e ponderatezza, bilanciandoli opportunamente con le risorse più squisitamente militari. E chi più e meglio dell’UE dispone sia di una tale panoplia di potenzialità civili sia delle relative risorse economiche per la loro implementazione, da non temere il confronto con qualsivoglia organizzazione in ambito mondiale? Ci si è finora chiesti cosa la NATO potesse fare per aiutare l’UE a crescere in campo militare: la risposta NATO è consistita nel “Berlin Plus Arrangement” , accordo che consente all’UE di ricorrere agli assetti, capacità e potenzialità della NATO per la condotta di operazioni UE. E’ probabilmente giunto il momento di chiedersi cosa l’UE possa fare per la NATO in campo civile: la risposta potrebbe essere un”Berlin Plus Civilian Arrangement” che costituirebbe l’immagine speculare dell’accordo originario, consentendo alla NATO il ricorso ad assetti, capacità e potenzialità non militari (polizia, “soft power instrments”, ecc.) dell’UE per la condotta di operazioni NATO.
Per quanto ha tratto con l’UE, balza immediatamente agli occhi lo stridente divario esistente tra le ambizioni politiche di questo gigante economico e la capacità dello stesso di tradurle in decisioni e provvedimenti coerenti e consequenziali. Va precisato, a tale riguardo, che il ruolo futuro e il peso politico dell’UE dipenderanno in buona parte dalla soluzione individuata nelle relazioni con la Turchia: quanto più forti ne risulteranno i legami, tanto più facile sarà per l’Europa agire da protagonista.
La nota dolente nel contesto dell’UE è rappresentata dalla Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC), di cui la Politica Europea di Sicurezza e Difesa (PESD) è parte integrante. A differenza delle “Competenze Esclusive” (relative al Mercato Comune e alla politica economica e monetaria) dove ogni decisione assunta diviene automaticamente vincolante per i paesi membri, nell’ambito della PESC i governi nazionali mantengono la prerogativa di avviare/aderire o meno a iniziative nei settori sicurezza e difesa: il principale ostacolo da rimuovere è quindi la complessità delle decisioni a livello dei singoli paesi membri, per cui ogni governo nazionale tende a custodire gelosamente la propria sfera d’influenza. La definizione della figura e delle attribuzioni dell’Alto Rappresentante per la PESC, sancite dal Trattato di Lisbona non migliorano la situazione laddove si consideri che l’Alto Rappresentante non ha il rango di un Ministro degli Esteri dell’UE (ne rappresenta semmai una consistente “dimunutio capitis”) e che, conseguentemente, i governi nazionali potranno continuare a far il buono e il cattivo tempo a loro piacimento, facendo venir meno la possibilità di addivenire a una politica estera e di sicurezza condivisa, coerente e realistica, che renda l’UE un partner privilegiato e affidabile nelle sue interazioni con NATO, Stati Uniti, ONU e OSCE.
Sta di fatto che se è vero che il Trattato Europeo (si badi bene alla denominazione: Trattato, molto più blanda e meno impegnativa della precedente versione in cui campeggiava la scritta: Costituzione Europea) è quanto di meglio si potesse ottenere a seguito del rigetto referendario in Olanda e Francia della precedente versione, è anche vero che detto documento somiglia di fatto, come fatto notare da qualche spirito arguto, a una sorta di voluminoso e pedissequo manuale di istruzione di un carrello elevatore, risultando comprensivo di: trattato propriamente detto, protocollo aggiuntivo, allegati, documento conclusivo, per un totale di 312 pagine. La peculiarità del documento, peraltro, è che, nonostante la sua facondia e verbosità, per risultare comprensibile necessita della consultazione dei precedenti trattati!!!
4. Constatato che è irrinunciabile addivenire ad una cooperazione efficace tra le varie organizzazioni internazionali tra le quali spiccano la NATO e l’UE che, attualmente, non paiono sforzarsi più di tanto nell’individuare linee d’azione comuni, proviamo a suggerire qualche correttivo teso a migliorare il rapporto transatlantico.
Il primo sforzo potrebbe riguardare la creazione di una più efficiente cooperazione a livello operativo. Di fatto, nei Teatri Operativi, i Comandanti NATO e UE e i rispettivi Stati Maggiori (SM) hanno sinora coordinato con successo, di volta in volta, le più svariate attività/problematiche. Si tratterebbe di autorizzare una interazione svolta con regolarità e incisività che includa lo sviluppo di meccanismi tesi a consentire una risposta immediata e coordinata in situazioni di crisi. Tali meccanismi potrebbero riguardare le sottonotate aree.
- Pianificazione Operativa Interforze. Un sistema volto a identificare scenari di crisi e relative opzioni di risposta potrebbe essere creato e testato tramite apposite esercitazioni. Ci si dovrebbe inoltre focalizzare nel realizzare la cooperazione NATO-EU in operazioni che richiedano assetti sia militari che civili: in siffatto contesto SHAPE (Supreme Headqurters Allied Powers in Europe), utilizzando anche la Cellula di Collegamento dell’UE già presente nel suo organigramma, potrebbe condurre la pianificazione operativa civile-militare congiunta anche nell’ipotesi che l’UE decida di condurre un’operazione autonomamente.
- Generazione delle Forze. Un collegamento diretto tra NATO e UE nel coordinare la generazione delle forze ridurrebbe gli attuali attriti, ottimizzerebbe l’impiego delle potenzialità civili e militari, eviterebbe la competizione per l’acquisizione di risorse limitate: entrambe le organizzazioni attingono, di fatto, alla medesima (e unica) “riserva di pesca”.
- Revisione congiunta di standard e procedure: entrambe le organizzazioni hanno poco interesse a sviluppare standard e procedure differenziate.
- Struttura di comando coerente. La struttura di comando dell’Accordo “Berlin Plus”, che prevede il Deputy SACEUR (DSACEUR) quale Comandante Operativo in operazioni condotte dall’UE con ricorso a risorse NATO, costituisce un modello iniziale adeguato. Ma ulteriori opzioni di comando potrebbero essere esplorate al fine di identificare come integrare operativamente, sotto il comando del DSACEUR, elementi provenienti dallo SM dell’EU (EUMS) e/o dai Comandi Operativi Nazionali, che Francia, Germania, Grecia, Inghilterra e Italia hanno reso disponibili all’UE (EU OHQs). Va comunque evidenziato come tali EU OHQs, nonostante siano etichettati “operativi”, siano privi della visione e prospettiva strategica che rimane prerogativa esclusiva di un comando multinazionale quale è SHAPE.
- Costituzione di un Centro per la gestione delle crisi. Una volta avviate la pianificazione e l’addestramento interforze, tale centro, composto da pianificatori civili e militari, potrebbe monitorare situazioni critiche specifiche, individuando azioni correttive adeguate.
Un secondo sforzo potrebbe riguardare la revisione congiunta delle capacità di NATO e UE. A tal fine, la Agenzia Europea per la Difesa (AED) e l’Allied Command for Transformation (ACT) potrebbero cooperare nei settori della trasformazione e della ricerca, creando capacità compatibili, interoperabili e complementari. Lo stesso meccanismo di sviluppo delle capacità di entrambe le organizzazioni potrebbe essere meglio coordinato.
Un terzo sforzo potrebbe mirare a integrare le capacità di NATO e UE di gestire una vasta gamma di compiti operativi, dalla guerra alla ricostruzione. In siffatto contesto le due organizzazioni potrebbero sviluppare meccanismi per integrare e combinare assetti militari e civili nel condurre operazioni di stabilizzazione e ricostruzione. Ma la relazione tra NATO e UE non dovrebbe basarsi su una rigida ripartizione di ruoli, con la NATO responsabile di tutti i compiti militari e l’UE di gestire i ruoli civili. Va invece individuato un approccio più coordinato e comprensivo, mediante il quale ciascuna organizzazione fornisca le proprie capacità più attagliate al soddisfacimento della specifica esigenza, con la NATO meglio attrezzata per risposte rapide e risolutive, e l’UE in grado di mobilitare un ampio spettro di strumenti militari e civili, ivi comprese le forze di polizia.
Va infatti riconosciuto che, mentre la NATO non ravvisa la necessità di sviluppare capacità specifiche nel settore civile, l’UE è in grado di diversificare i propri interventi tra quattro tipologie distinte di missioni:
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capacity building missions;
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military missions;
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rule of law missions;
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monitoring mission.
Nel contempo, l’UE è in grado di operare mediante un approccio comprensivo, risultando spesso artificiosa, nel contesto della PESD, la distinzione tra missioni militari e civili. In realtà, molti missioni civili richiedono il supporto militare e le missioni militari si trasformano sovente in missioni civili o in programmi di sviluppo e assistenza gestiti dalla Commissione Europea. L’UE è pertanto unica nella sua abilità di combinare e coordinare strumenti sia civili sia militari mediante una risposta sinergica e onnicomprensiva.
Un chiaro esempio di quanto asserito è la Bosnia, dove si sono registrati ben quattro sforzi coordinati dall’UE:
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la missione militare European Union Force (EUFOR) ALTHEA,
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la missione civile European Union Police Mission (EUPM);
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la missione European Union Monitoring Mission (EUMM);
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i programmi della Commissione Europea (European Commission Programs) relativi agli Accordi di Stabilizzazione e Associazione.
Il prerequisito perché questo sogno diventi realtà è che la NATO e l’EU rivitalizzino ad ogni livello la loro iterazione, focalizzando la discussione su contingenze future e risposte congiunte, elaborando scenari strategici comuni in relazione alle principali problematiche di sicurezza, identificando criteri di base volti a incoraggiare approcci sinergici con ripartizione di sforzi e costi.
Se l’ attuale meccanismo di consultazione North Atlantic Commitee (NAC)/ Political and Security Committee (PSC) e NATO Military Committee (NATO MC)/European Union Military Committee (EUMC) è giudicato riduttivo o inefficace, devono essere identificati nuovi o ulteriori fori di incontro e discussione. Si ravvisa comunque l’esigenza di prevedere con effetto immediato un calendario, con congrua periodicità, di incontri diretti tra i Segretari Generali della NATO e dell’UE, di modo che le problematiche più urgenti vedano l’interessamento in prima persona dei responsabili del vertice istituzionale delle due organizzazioni.
Non va persa l’opportunità di affrontare congiuntamente e più efficacemente le minacce comuni del futuro, tenendo presente che ogni futura operazione richiederà una vasta gamma di capacità militari e civili che spaziano dalla guerra alla ricostruzione.
In definitiva, è giunto il momento di andare oltre Berlin Plus e intensificare la cooperazione NATO-UE.
L’importanza e la necessità di una salda partnership tra NATO e UE sono state ripetutamente proclamate a numerosi summit nel cui comunicato finale compare un chiaro riferimento a tale partnership:”We will strive for improvements in the NATO-EU strategic partnership as agreed by our two organizations, to achieve closer cooperation and greater efficiency, and avoid unnecessary duplication, in a spirit of transparency and respecting the autonomy of the two organizations”.
Sarebbe certamente assurdo vedere la NATO e l’UE espandere il rispettivo ruolo globale in maniera scoordinata: si ravvisa, quindi, l’inderogabile urgenza dell’efficace scambio reciproco di informazioni, integrato da attività concrete in grado di trasformare la teoria politica in pratica militare.
Una funzione chiave, in tale contesto, è assolta dal DSACEUR, in virtù del suo ruolo unico e centrale nelle relazioni tra NATO e UE. Si reputano infatti di importanza assoluta sia la sua visione onnicomprensiva quale Comandante Operativo sia le sue valutazioni quale Coordinatore Strategico (nelle relazioni NATO-UE) in merito a potenziali settori in cui la cooperazione NATO-UE potrebbe essere sviluppata o potenziata.
5. Quanto più fattiva sarà la cooperazione tra NATO e UE, tanto più dialettica risulterà la relazione tra due partner indispensabili l’uno all’altro, l’Europa e gli Stati Uniti, evitando che questi ultimi, sentendosi abbandonati o, addirittura, traditi dall’Europa (per la cui democrazia e il cui benessere ritengono di essersi sacrificati fornendo, peraltro, nel corso del ventesimo secolo, un ragguardevole contributo di sangue e danaro) possano andare alla deriva assumendo iniziative unilaterali, magari irreversibili, pericolose sia per gli stessi Stati Uniti sia per il mondo occidentale in generale.
Una volta stabilizzata e normalizzata la relazione tra Europa e Stati Uniti, i due potrebbero addirittura procedere di comune accordo anche verso traguardi posti oltre la sfera sicurezza-difesa: mi riferisco al cambiamento climatico, alla sicurezza energetica e ad altre problematiche internazionali che, se affrontate, discusse e risolte a livello di foro transatlantico, potrebbero costituire la base per soluzioni realistiche e concrete a livello globale.
La distensione e normalizzazione dei rapporti tra NATO e UE potrebbe, inoltre, costituire la premessa per il rilancio dell’ONU e dell’OSCE.
La definizione di obiettivi comuni nel più ampio contesto del bacino transatlantico potrebbe giocare a favore del rinnovato e tanto atteso sforzo di riforma dell’ONU, teso a migliorarne efficienza e credibilità. Se realmente vogliamo che la giustizia prevalga sulla forza (è questo, in ultima analisi, il mandato dell’ONU) si rende improcrastinabile la riforma dell’ONU, conseguibile solo una volta acquisita una visione congiunta di NATO e UE sulle sue relative modalità, procedure e finalità.
Per quanto ha tratto con l’OSCE non vi è dubbio che l’organizzazione odierna, ove se ne considerino i successi conseguiti durante la guerra fredda e all’inizio degli anni ’90, costituisca un punto di riferimento meno visibile e meno significativo nello scenario istituzionale europeo di quanto lo fosse ai suoi “tempi aurei”: più di qualcuno, peraltro, afferma che l’OSCE è in crisi.
Ma l’organizzazione è e resta un attore importante sulla scena della sicurezza europea, nonostante abbia delegato all’UE alcune sue prerogative nel settore specifico. L’OSCE rappresenta, di fatto, un foro vitale per la politica estera dell’UE e costituisce il primo e irrinunciabile interlocutore dell’UE nel più ampio spettro dei diritti umani. La NATO e l’UE hanno quindi l’interesse, tramite un approccio congiunto e concordato, di rivitalizzare e sostenere questo attore internazionale, mettendolo in grado di prevenire o, se del caso, flemmatizzare e gestire situazioni di crisi, rendendolo più credibile, capace e performante.