Working Paper - QUALE FUTURO PER L'AFGHANISTAN ?
PREMESSA
Il limitato successo di ISAF, sino alla svolta impressa dal Generale Petraeus nel 2010 con l'introduzione della nuova dottrina controinsurrezionale (mutuata, peraltro, dalle direttive impartite nel 1982 dal Generale Angioni al contingente italiano in Libano), è da imputarsi essenzialmente alla carenza di conoscenza del contesto storico, culturale, politico, sociale ed economico dell'Afghanistan.
Se a ciò si aggiunge la presunzione e l'arroganza nell'ignorare l'esperienza, le capacità e i “desiderata” locali identificando e perseguendo, invece, obiettivi che probabilmente rispecchiavano standard e criteri occidentali ma che mal si attagliavano alle esigenze e realtà locali, è anche facile comprendere come la popolazione afgana, dopo una favorevole accoglienza iniziale delle “forze di liberazione”, assistesse perplessa, scettica e talvolta ostile alla realizzazione di progetti ritenuti, nella migliore delle ipotesi, di scarsa utilità.
I semi di speranza, di prosperità, di libertà e di pace che erano stati sparsi sul suolo afgano nel 2001, a seguito della disfatta dei Talebani, stentavano a germogliare.
Il continuo mutare di strategie, il totale e cieco affidamento su tecnologia e progresso, l'incapacità di stabilire e mantenere il dialogo, l'ossessione della sicurezza (che manteneva ISAF isolata dalla società afgana), la burocrazia fine a se stessa, il mantra di un “nation building” di difficile comprensione per l'afgano medio creavano un netto distacco tra popolazione locale e prestatori d'opera esterni.
Si era volutamente ignorato come il supporto esterno possa risultare utile nel creare , ad esempio, un sistema bancario o un sistema monetario: ma le istituzioni locali sono sicuramente più efficaci e durature del fumoso “nation building”.
Ciò che ha caratterizzato la condotta delle operazioni in Afghanistan, sino all'arrivo di Petraeus, si può quindi riassumere in: assenza di umiltà, eccesso di ottimismo, mancanza di obiettivi chiari e perseguibili.