SULL’IMMIGRAZIONE VERSO L’EUROPA E SUL CASO SVEDESE

Auteur: 
Giuseppe Nastri
Date de publication: 
6/10/2018

1. Immigrazione: se la Scrittura raccomanda la benevolenza verso l’immigrato isolato in mezzo al popolo d’Israele, ricordiamo che le grandi migrazioni di popoli dai tempi più remoti hanno sempre portato terrore. Gli stessi Israeliti in fuga dall’Egitto hanno seminato la morte in Palestina. Le conseguenze dell’invasione ariana dell’India si trascinano nei secoli attraverso il sistema delle caste che è appunto d’origine razziale. L’Impero Romano cadde a seguito dell’afflusso all’interno del ‘limes’ dei popoli cosiddetti barbari con le loro famiglie e le loro armi: prima come schiavi, poi come soldati e infine come padroni. I seguaci di Maometto rifugiatisi dalla Mecca a Medina furono detti Emigrati (Muhagirun*) e portarono la guerra nella penisola araba prima, e poi nel resto del mondo. Tra il Mille e il 1200 l’immigrazione delle tribù arabe hilaliane ha implicato un crollo della popolazione nell’Africa del Nord (da ca. 11,5 M a ca. 9.8 M d’ab.). La colonizzazione europea ha avuto conseguenze demografiche immensamente più gravi. In poco più di un secolo, dopo la scoperta dell’America*, la popolazione del continente è passata da ca. 100 M a forse 10 M. d’ab; La stessa Europa dell’Ottocento e dei primi decenni del Novecento ha potuto evitare la sovrappopolazione relativa grazie all’emigrazione verso l’America, l’Australia il Maghreb e il Sudafrica. Oggi, alla scala mondiale, l’immigrazione assume proporzioni gigantesche con 260 M d’immigranti nel mondo intero. Quanto alla recente immigrazione verso i i paesi avanzati dell’Occidente, essa è stata economicamente profittevole e gestibile umanamente fino a qualche tempo fa ma è ormai divenuta un immenso dramma umano.

I dati. Nei primi decenni dopo la Seconda guerra mondiale, allorché la ricostruzione e lo sviluppo esigevano in Europa un’importante mano d’opera (labour intensive capitalism), il movimento intraeuropeo di lavoratori e l’immigrazione extraeuropea hanno trovato una giustificazione economica. Più di recente, tra il 1992 e il 2015, ben 18 M di persone sono venute nell’Europa occidentale dai paesi già sottoposti a regimi comunisti. Si nota che la percentuale dei laureati tra gli emigrati dall’antico blocco comunista è spesso superiore o a quella dei laureati nello stesso paese d’origine (tale è, p. es., il caso per gli emigrati dall’Ungheria, dalla Polonia, e dalla Romania). Ma allorché l’indice di disoccupazione nel loro paese d’origine è relativamente basso questi immigrati fanno volentieri ritorno a casa. («The Economist», 26 agosto 2017, pp. 22-23.) Per quanto riguarda l’immigrazione dal Medio Oriente e dall’Africa, allorché non sono famiglie intere ad affrontare un viaggio pieno di pericoli e di violenza per sfuggire alle guerre, ai mutamenti climatici, alla sovrappopolazione relativa e alla miseria, si è trattato spesso d’investire tutte le risorse familiari per inviare in Europa un membro della famiglia più onesto e più capace, sul quale si potesse contare. Alla scala mondiale, le rimesse che gli immigrati spediscono nei paesi d’origine superano, infatti, i 500 miliardi di dollari all’anno (2015). Tuttavia, anche in Europa gli immigrati non cessano di soffrire per il legame con la loro origine quando dei regimi oppressivi ricattano le famiglie rimaste in patria. In un certo senso, ci sono due mondi estremi: da un lato l’Africa subsahariana – con una demografia fuor di controllo unita ad un malgoverno quasi generalizzato e al degrado dell’ambiente – che non può assicurare risorse e lavoro ad un numero sempre crescente di giovani. Dal lato opposto, un paese come la Germania che offre ancora opportunità di lavoro perché rimane competitiva assicurando salari relativamente bassi. È così che nel 2016 ha potuto accogliere 745.545 immigrati siriani, riuscendo in parte ad impiegarli. Bisogna però dire che l’intera Europa, per quanto riesca a creare posti di lavoro non può tener dietro al ritmo demografico dei paesi d’emigrazione. Nel 2015 più di 1 M di persone hanno raggiunto l’Europa attraverso il mare, 362.000 nel 2016 e ca. 175.000 nel 2017, di cui 119.000 sono sbarcati in l’Italia, 29.000 in Grecia e 27.000 in Spagna (anche dall’Atlantico). Gli immigrati provenivano dalla Nigeria, dalla Siria, dalla Guinea, dalla Costa d’Avorio, ecc. La riduzione degli arrivi via mare è anche dovuta due iniziative prese dall’Italia nel 2017: l’imposizione di un codice di comportamento alle ONG, che – complici o meno – appoggiano il traffico di esseri umani e gli accordi con “centri di potere” libici (vista la disunione del paese) per potenziare la locale Guardia costiera. Nel 2018 la Svezia* ha quasi il 13% di immigrati extracomunitari rispetto alla popolazione, e l’Austria poco più del 10%; i Paesi Bassi, la Spagna, la Francia e la Germania, il Regno Unito e la Grecia in ordine decrescente tra l’8 e il 10%; Malta, la Danimarca, l’Italia e il Portogallo tra il 6 e l’8%; la Repubblica Ceca e l’Ungheria tra il 2 e il 3%; la Polonia e la Slovacchia meno dell’1%. In ognuno di questi paesi il pubblico stima questa proporzione di poco o di molto superiore. In Italia, dove il divario dalla realtà è il più alto, si percepisce una presenza degli extracomunitari di quasi il 25%. (Fonte: Istituto Cattaneo.) Resta da vedere perché il problema è tanto risentito.

l’immigrazione verso l’Europa, inizialmente ‘razionale’, è ormai difficile da controllare. ① Innanzitutto, la stessa immigrazione avviene nel modo più caotico. Gli immigrati dall’Africa subsahariana attraversano il Sahara sotto la minaccia dell’indottrinamento terrorista, degli schiavisti, di violenze e di estorsioni. Il passaggio del Mediterraneo, poi, è nelle mani di organizzazioni che non esitano ad abbandonare o addirittura a gettare in mare il carico umano da cui ritirano i loro profitti. Si calcola che sulla rotta italiana periscano in mare l’1-2% degli immigranti; sulla rotta spagnola forse il doppio. La distribuzione dei fondi pubblici per l’accoglienza è spesso gestita da mafiosi per i quali \«c’è da guadagnare sugli immigrati più che sulla droga\». ② Al fine di fissare in Turchia gli immigrati provenienti dal Medio Oriente, l’Unione Europea ha previsto la spesa di 3 miliardi di euro per il 2016 e il 2017, più un supplemento di altri 3 miliardi per il 2018 (se i fondi stanziati precedentemente sono stati ben spesi). Solo una parte di questa somma è versata direttamente alle autorità turche, che devono comunque dar conto dell’impiego dei fondi allo stesso m odo delle ONG implicate nell’operazione. Quali che siano le interpretazioni sfavorevoli, non si è trattato di un assegno in bianco in favore di Erdoğan.

Benevolenza o timore? Possiamo veramente dire che abbiamo «un conto aperto con l’Africa e con il Medio Oriente» che non ci permette di respingere gli immigranti consegnandoli ad un destino incerto? E se le strutture stesse della nostra civilizzazione – il rispetto della legge, lo spirito scientifico e il cristianesimo (v. Keynes) – ci impongono accogliere popoli di cultura radicalmente diversa, abbiamo davvero modo di restare tranquilli? Il fatto è che una parte della nostra classe politica ha guardato al potenziale elettorale dell’immigrazione, senza porsi altre domande. Oggi, però, in tutta l’Europa, si pone la questione dell’integrazione dei nuovi venuti nel nostro sistema socio-politico (v. Assimilazionismo, Multiculturalismo). Il punto delicato in proposito è appunto quello della preservazione non solo della civiltà occidentale ma del suo ordine – rassicurante, accomodante, tollerante – e della stessa pace. Fino ad oggi si nostra democrazia ha potuto considerata perfettamente stabile la perché la maggioranza appartiene ancora alle etnie europee… ma domani?

La questione della compatibilità tra le culture e le stesse etnie. La nostra cultura – ormai secolarizzata, relativista, individualista, portata ai facili paragoni ma frettolosa – non riesce ad ‘inquadrare’ le divisioni, anzi le spaccature culturali, addirittura intellettuali e soprattutto religiose che ispirano profondamente la morale e gli stessi costumi. Eppure bisogna sapere che ancora oggi l’immigrazione è destinato ad essere un fattore di tensione, da trattarsi con la più grande cautela, così come lo è sempre stato nel corso della storia. L’integrazione, specie dei mussulmani è difficile perché l’Islam – intrinsecamente – è anche un’ideologia politica, per cui i mussulmani, devono essere governati dalla loro legge, la sharī’a, sicché non possono mai accettare in via definitiva sistemi giuridici, politici, culturali alternativi. Fuori dalla benevola Europa, Singapore accoglie ben 1,4 M di stranieri, che rappresentano il 38% della forza lavoro. Essi debbono partire allo scadere del loro contratto e, se si trattengono, prima di venir espulsi, sono passibili di una punizione corporale. Se quindi lo spostamento di grandi masse umane è «un fenomeno fisiologico, sovente legato all’evolversi della natura che ci circonda», già Aristotele considera la differenza etnica «un fattore di dissenso finché i due gruppi non imparano a vivere insieme. Infatti, uno Stato non può essere composto di qualsiasi assortimento di gente, così come non può venir stabilito a piacere in qualsiasi tempo o luogo. Conseguentemente, le fazioni sono state estremamente comuni quando la popolazione ha incluso un elemento estraneo, al momento della fondazione o in seguito.» Aristotele dà esempi di lotte, di cambiamenti di regime e di espulsioni derivanti da tensioni interetniche all’interno di una stessa città. Prende in considerazione diversi scenari: che una minoranza sia diventata maggioranza minacciosa (Sibari), che a loro gran danno delle città abbiano accolto come cittadini di mercenari stranieri esperti nella pratica delle armi (Siracusa), che i nuovi venuti abbiano cospirato contro gli abitanti d’origine e che – scoperti – siano stati espulsi (Bisanzio) o, al contrario, che gli immigrati abbiano semplicemente sopraffatto e scacciato i vecchi abitanti (Zancle, oggi Messina, e Anfipoli). Aristotele conclude che «qualsiasi distinzione porta alla divisione. Forse la più grande divisione è tra virtù e vizio, dopo**** quella tra ricchezza e povertà.» (Aristotele, Politica, 1303a 25 – 1303b 17.) Per quanto riguarda le prospettive attuali, notiamo queste tre ‘previsioni’ di Jacques Attali: ❶ «tutte le élites del Sud partiranno verso il Nord» (J. Attali, Une brève histoire de l’avenir, Fayard, 2006,cap. 3, p. 201); ❷ tra tutte le spese sociali quelle necessarie all’integrazione degli immigrati saranno abbandonate per prime (Ibidem, cap. 7, p. 413); ❸ «prima la mano tesa, poi il pugno chiuso». (Ibidem, cap. 6, p. 265.) V. i paesi europei d’immigrazione (Germania, Gran Bretagna, Francia, Italia), più gli esempi di Fiji, Israele, Siria, Sri Lanka.

2. Svezia: la visita in Svezia di papa Francesco nel 2016 ha commemorato una Riforma imposta dall’alto che non lasciò alcuna possibilità di reazione da parte cattolica.

La Solitudine nella Svezia, “paese modello”. La Svezia è il paese che s’avviava a realizzare il modello del cittadino solo davanti allo Stato, benevolo ‘Leviatano’ moderno che provvede a tutto. Se si ha un problema, basta compilare un formulario, eventualmente sullo smartphone. Più del 50% degli Svedesi sono celibi o nubili che vivono da soli (la proporzione raggiunge il 65% a Stoccolma). Circa il 25% delle persone muore in solitudine e non è raro che il cadavere venga scoperto in casa solo dopo anni, tanto che c’è un organismo dedicato alla ricerca dei parenti per l’attribuzione dell’eredità. Anche la concezione può avvenire per corrispondenza con ditte specializzate nell’invio di sperma a donne sole che vogliono un figlio senza la seccatura d’un marito o d’un amante, anche occasionale. Un catalogo aiuta nella scelta e naturalmente viene fornito il kit o “fai da te”

Le conseguenze di una generosa politica d’immigrazione. Questo paese della solitudine e dei generosi benefici sociali, sin dagli anni 1980 e 1990 ha accolto un gran numero di rifugiati soprattutto dall’Iraq, dalla Somalia e dall’ex Jugoslavia: quindi siamo già agli immigrati di seconda generazione. Nel corso della crisi siriana del 2015, sono arrivati in Svezia 163.000 rifugiati (scesi poi a ca. 26.000 all’anno). Oggi tra tutti i paesi europei almeno della sua importanza demografica, la Svezia accoglie la più alta proporzione di rifugiati in rapporto alla popolazione (il 13% su 9,6 M d’ab). Tuttavia, nonostante la messa in opera di generosi programmi d’integrazione, all’inizio del 2018 nemmeno la metà dei richiedenti asilo erano impegnati nello studio o nel lavoro. Infatti, mentre la Germania adotta una politica di pieno impiego e di salari contenuti, mirando alla competitività in vista dell’esportazione, i sindacati svedesi impongono sin dall’inizio della carriera lavorativa retribuzioni elevate, incompatibili con le capacità produttive dei nuovi venuti. Il 7 aprile 2017 la Svezia è stata richiamata alla realtà globale dal gesto di un immigrato islamico che a Stoccolma a bordo di un camion lanciato sulla folla ha ucciso 5 persone e ne ha ferite 14. Il 28 giugno 2018 la Swedish Defence University, ha pubblicato un voluminoso rapporto intitolato Tra salafismo e jihadismo salafita. Vi sono analizzati i dati e i metodi dell’espansione dell’Islam radicale, attualmente in crescita in diverse città svedesi. Sono ormai sotto sorveglianza 2000 persone, spesso convertiti d’origine svedese, che si propongono la diffusione di un Islam rigorista e violento. (https://it.gatestoneinstitute.org/12742/svezia-radicalizzazione.) In Svezia sono state identificate ben 61 zone di non diritto, pudicamente definite “aree vulnerabili”. L’immigrazione ha anche contribuito all’incremento degli atti di violenza carnale che, secondo Amnesty International, sono quadruplicati in vent’anni: la Svezia è ormai il primo paese in Europa con 69 casi annui per 100.000 ab. (In Giappone si registra un caso all’anno per 100.000 ab.) La polizia si dichiara impreparata di fronte alle nuove sfide e la classe politica, tradizionalmente social-ecologista, riduce il problema del contatto tra civilizzazioni allo schema standard del disagio sociale o della mancata inserzione sociale degli immigrati nella società svedese (per molti radicalmente aliena). V. Scandinavia.